A Roma si ama, mangia e chissà se si prega

A Roma si ama, mangia e chissà se si prega

Non sono stata tanto lì a photoshoppare, nei limiti delle mie conoscenze, che sono luminosità e contrasto, perché Roma è così come la vedi, non ha mica bisogno di drammi, o tanto meno di brillare di luce non propria, artificiale. Le foto magari non sono foto perfette, o drittissime, o perfettamente a fuoco, ma le ho messe tutte, perché così è come vedo Roma: “rustica”, semplice nella sua complicatissima bellezza, diretta, la sua magia t’arriva subito.

Ed è la magia anche dei romani, che sono i tipici “prendere o lasciare”, orgogliosi della propria città più che del proprio figlio, chiassosi, buffi, a volte spocchiosi, più del Sud che del Nord. Gente che fa baccano, che è lì pronta per fregarti in qualche modo se non stai attento, che ama la bella vita nei limiti del possibile e dell’impossibile, che ama, mangia e chissà se prega, nonostante tutto. La gente di Roma è come un uomo di cui t’innamori subito, bello e dannato, pur essendo lei sacra.

È strano: cammini in un altro tempo respirando esattamente l’aria di quell’altro tempo, pur essendo in questo, calpesti sanpietrino dopo sanpietrino, e se son tacchi sono guai, e t’immergi in una nebulosa passata che scoppia solo quando il velo che ti ritrovi davanti agli occhi è sostituito da veli di tovaglie bianche o a quadretti apparecchiate e circondate da turisti e anche autoctoni, tutti tanti, rumorosi, a volte quasi molesti, come lo sono i camerieri.

È una certa simpatia, un certo mood che trovi solo in chi mette piede a Roma, ovvero quella sfacciataggine, quella spontaneità, quel “ma a me che cazzo me ne frega, io ci provo”, che ammalia. E chi mette piede a Roma deve accettare e si deve anche adeguare.

La gente parla, le strade parlano, i muri parlano, un po’ tutto parla, anche gli edifici abbandonati, anche le vetrine gremite da ninnoli messi lì apposta per turisti, che tanto comprano tutto.
Il caffè, il rumore delle stoviglie, il profumo di certi fiori che tutt’a un tratto t’appaiono come manifestazioni celesti, balconi sui quali ti ci fai più d’una storia, La Grande Bellezza, i cliché, le vacanze romane, la Fontana di Trevi, tutto a Roma è magnifico anche se è stereotipo, quegli stereotipi di cui non ci si stanca mai.
Di donne tutte uguali dalle labbra, gli zigomi e il naso rifatto, che vantano titoli nobiliari o comparse in film scomparsi o mai comparsi, di giovani studenti pronti a fare le 6 del mattino al party del tizio mai conosciuto, di condottieri romani davanti al Colosseo, perfino quelli sono romantici nei loro costumi tutti uguali, di vecchietti dentro negozi dimenticati dal Signore di lampadari antichi o timbri moderni.

Davvero: c’è qualcuno a cui non piace Roma? A parte la cazzata udita quest’estate da una signora benestante sulla bruttezza della Toscana, non c’è nessuno a cui non possa piacere Roma. Per il solo fatto che è impossibile.
In tutte le altre città ti viene da dire: “questa città assomiglia a quest’altra…”, e così via, per Roma no, ti può balenare la somiglianza con Parigi, anche se comincio a pensare che un po’ tutte le città somiglino a Parigi, ma no, è unica, esattamente come gli esseri umani. E infatti lei ha il suo cuore soggettivo, che per alcuni è il Vaticano, per altri è il Colosseo, il suo sangue oggettivo, il Tevere, i suoi polmoni, e così via.

Ma io no, non ci abiterò mai, per lo meno non in centro, sono troppo schiava dell’organizzazione, della puntualità, del non vedere ovunque turisti imbambolati pronti a cadere per la botta del turista successivo e precedente, che a sua volta imbambolato, lo urta. Un domino umano.
Ma ci andrei in gita una volta al mese.

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