Napoleon Dynamite: chi ha sempre perso vince

Napoleon Dynamite: chi ha sempre perso vince

 

Ci sono film che non sono film, sono iniezioni di esperienze racchiuse in potenti siringhe trasparenti, e non potrà mai bastare nessun cotone idrofilo imbevuto di tutto l’alcool del mondo per mandare via quel “bubbone”. Perché certi “bubboni” è bene che rimangano sulla pelle, pur non vedendosi.
Uno di questi è il “morbo” Napoleon Dynamite, un capolavoro senza effetti speciali, senza un budget milionario, senza una struttura da vero film, ma con tanto cervello, tanto stile e tanto cuore.
Fa parte della categoria “non-avrei-mai-visto”, categoria che ho deciso da tempo di prendere di petto e di ficcarmici dentro, perché quello che pensi non ti piaccia o non esista è quasi sempre qualcosa che merita.
È bello avere pregiudizi per poi esserne capaci di abbatterli.

Napoleon Dynamite è una sorta di Donnie Darko colorato e meno drammatico nel senso proprio del termine, ha in comune una marea di cose, tra cui la scuola con i suoi bulli e le sue bionde-fighe-di-legno, il protagonista “strano” con tutti i problemi dell’adolescenza, la bicicletta. Uno ha musiche tipo “I want candy”, l’altro “Head over Heels”, opposti che paradossalmente si attraggono.
Il protagonista è Napoleon, appunto, Jon Heder, che se lo vedi da “normale” non lo riconosci, ma Jared Hess, il regista, e la moglie assieme a sua cugina sono riusciti a trasformalo in un vero loser, a partire da una permanente violenta.

Io amo Napoleon, un po’ perché ho un po’ ho un forte spirito di solidarietà per i deboli, e un po’ perché è rimasto meravigliosamente infantile: per far colpo sulla ragazza che dovrebbe portare al ballo le fa un disegno orrendo (ma le fa sempre un disegno), si stupisce per le strabilianti funzioni di una bicicletta, è sincero ed è fissato su un personaggio a metà tra il leone e la tigre.

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E poi ha stile. Da vendere. In barba agli hipster dieci anni dopo. Vorrei tutte le sue magliette, e pure i suoi improbabili stivali da montagna.
La trama in sé non ha niente di nuovo: c’è lo sfigato preso in giro da tutti che trova un amico, Pedro, con il quale fa combriccola e lo aiuta ad essere votato per la candidatura per la presidenza a scuola. Come amica femmina ha solo Deb, una fantastica Tina Majorino, che per raccattare qualche soldo va in giro a vendere i suoi orrendi manufatti (siamo in pieni anni Ottanta, quanti ricordi dei miei mercatini).
Vive con la nonna che vuole fare così la giovane, che alla fine fa un incidente in moto, per questo si trova costretto ad abitare con uno zio pazzo che si butta sulla vendita porta a porta d’improbabili prodotti come creme che aumentano i centimetri del seno, nella quale coinvolge pure il fratello di Napoleon, che passa l’altra metà del tempo sulle chat online.

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Le cose belle di questo film sono tante, la prima di tutte è la sua nascita, com’è stato partorito: Napoleon Dynamite nasce da Peluca, un cortometraggio realizzato dal regista e sceneggiatore Jared Hess, basato sulle esperienze di uno strano ragazzo cresciuto in una cittadina americana, cioè la piccola e rurale Preston, in Idaho, dove lui stesso è nato. Nel periodo che studiava all’Università ha girato il cortometraggio con soli 500 dollari usando soprattutto amici e “amici di” ingaggiando pure Jon Heder, che all’epoca era uno studente di animazione, per il ruolo principale.

Chi li aiutò fu Jeremy Coon, il fratello di un amico di scuola del regista, che al Slamdance Festival vide il corto di cui si innamorò, tanto che decise di aiutare il regista a farlo diventare un vero e proprio film. Jeremy divenne in seguito producer ed editor.
Kodak e Panavision dal canto loro, contribuirono con sconti per film prodotti da studenti.
Dopo aver girato il corto, per poter fare il film, lo mandarono in giro a diversi direttori casting, ma tutti dissero che era troppo strano.
Alla fine lo girarono in ventitré giorni, in una caldissima estate, “fu come non lavorare”, ha detto Hess.

La tenerezza assoluta? Il protagonista non aveva idea di come fosse girare un film, e questo fu fatto un po’ a caso, ma in maniera comunque perfetta (ho letto una dichiarazione della Majorino dicendo che erano tutti in un improbabile motel dove per farti la doccia dovevi arrivarci saltando, dato che c’era un buco sul pavimento, ma che nonostante tutto fu una delle produzioni più organizzate di sempre), e la cosa che gli interessava di più era avere una copia DVD da far vedere alla propria famiglia. E invece finirono al Sundance Film Festival, dove guardarono tutti il proprio film dall’ultima fila.
E il resto è storia, che poi è pure diventata una serie animata per la Fox.

Insomma, tutto ciò si riallaccia al mio post di ieri, in cui predicavo il fatto di non smettere mai di sognare, se pur sognare voglia dire rischiare, avere palle e tanta pazienza.
Io la trovo una storia romanticissima, e penso anche che chi guarda il film la debba sapere per poterlo vedere con altri occhi.

E sì, è vero, i vari direttori casting avevano ragione, è un film strano, ma quanti film strani sono film geniali? Vedi quelli di Michel Gondry. E questa è l’altra bella cosa del film, quei dialoghi che paiono assurdi ma non lo sono affatto, uno zio che pare venire dalla Luna, ma nella realtà c’è gente come lui, un fratello che pare vivere in un altro mondo, e invece è attualissimo, dato che esistono eccome quelli che vivono online, chattando e flirtando su Facebook tutto il giorno, un protagonista che gioca da solo con una palla attaccata ad un filo, che pare goffo e poi è un ballerino provetto.

Devo dire che ho pianto quando ho visto il balletto di Napoleon, perché è il climax del film, la punta dell’iceberg dalla quale non si riscende, si resta lì con la gloria congelata, il momento in cui dici “sì, cazzo!”, sobbalzi dal divano e vorresti fare con Jane Fonda, metterti davanti allo schermo e mimare le mosse di Napoleon con il cuore in gola.
È come se tutto il film fosse fatto in funzione di quei pochi minuti che vorresti non finissero mai, e nei quali Jon ha pure improvvisato.

L’altra cosa bella del film è lo stile che voglio chiamare visionario perché pare quello di adesso, quello stile per cui ora ti definisci figo. Ecco, lì erano undici anni avanti, tipo.
Non voglio dire altro, sto scrivendo un papiro, preferisco lo vediate e facciate le vostre riflessioni (io ne avrei altre mille).

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